Un pò di storia

Questo racconto, pubblicato nel 2003, è compreso nella raccolta di poesie, racconti e canzoni Retropensieri (CLEUP, 2003; ISBN 88-7178-006-X), e riassume il mio iniziale contatto con la musica e i Dimarte, la band con cui ho suonato per un ventennio, e che in seguito si è trasformata nei Motorcycle Mama.

iDox a Cape Charles, VA, USA, 30 luglio 2022

Dimarte: la storia


Racconto


Per quello che mi riguarda, la storia dei Dimarte comincia nel 1978. Nel corso dell’estate avevo acquistato la mia prima (e unica, fino ad oggi) chitarra acustica, una Eko Ranger 6, comprata con soldi guadagnati aiutando un falegname nei mesi estivi. La chitarra mi aveva aperto le orecchie nei confronti di una musica di cui non sospettavo l’esistenza e, alla fine dell’anno, incuriosito dalle recensioni, avevo acquistato Comes a time, l’album di Neil Young, un trionfo della chitarra acustica. Era il mio secondo 33 giri; il primo in assoluto è stato Slowhand, di Eric Clapton, acquistato dopo averne letto la recensione su Famiglia Cristiana (...!). Rimaneva un piccolo problema: non possedevo un giradischi.

Per caso scopro uno che il giradischi ce l’ha, e niente male. Un vero impianto hi-fi, comprato anche quello, mi sembra, con soldi guadagnati d'estate. Mi ricordo di Marino Crivellari sin dai tempi dell’asilo, ma una certa conoscenza si era sviluppata solo più tardi, nel corso dei campeggi estivi. L’inverno del 1978 comincio a frequentarlo regolarmente. Fa freddo e c’è ghiaccio sulle strade. Parto da casa a bordo di un Ciao, con un sacchetto che contiene i miei due dischi che ascoltiamo, studiamo, imitiamo fino alla consunzione, strimpellando la chitarra per ore. Ovvio che, nel frattempo, sia nata un’amicizia che durerà per sempre.

Per alcuni anni il nostro rapporto con la musica si limita ad attività parrocchiali. Suoniamo in chiesa alla messa, o a qualche festa, o alle gite, esistono cassette che lo testimoniano. Registriamo con alcuni amici (Giuseppe P., Marilena V., Anna Maria R., Ruggero V.) una raccolta di canzoni natalizie a cui mettiamo l’improbabile titolo di Hard Christmas 1978 (…).

Nel 1979 succede qualcosa che vorrei capitasse ancora: registriamo di getto, a casa di Marino, sotto gli occhi allibiti di sua madre che ci vede entrare e uscire dal cesso, un album concept, che battezzo WC, una specie di inno al rock demenziale (forse Marino ed io eravamo ancora sotto shock dopo aver assistito ad un concerto degli Skiantos). WC comincia e finisce con un rumore di sciacquone, per poi snocciolare canzoni come Gnock Rock, Ghemo Fam, Rock’n’roll antibomba a rime sciolte, Gay Rapsody, eseguite con chitarre, ka-zoo, bonghi, flauto dolce, bicchieri. Per me rimane una geniale...schifezza; per Marino, credo, solo una schifezza.

Arriva poi la stagione dei recital, spettacoli complicati, con contenuti religiosi e sociali (noiosi fino alla morte, se li ripenso adesso), che allestivamo con un gruppo di amici, e che portavamo addirittura in giro in altri paesi con il nome di Nuova Compagnia di Canto Carrarese. Mi limito a nominarli perché non si perdano nella memoria: T’ho trovato (1978, testi e musiche di Marcello Rizzato), Exodus (1980, testi di Giuseppe P., musiche di Marino e mie) e Ritorno alle origini (1983, testi di Giuseppe P. e miei, musiche di Marino e mie). Continuo ancora a chiedermi come facesse la gente a resistere fino alla fine; qualcuno persino pagava. Nel 1980, sotto la guida di Marcello Rizzato, mettiamo in piedi un concerto di canzoni in dialetto veneto, Confidensa co n’amigo, adattato da testi di Luciano Rosada. Nella canzone che dà il titolo allo spettacolo Marino si esibisce in un lungo assolo di chitarra elettrica, che rivela tutta la sua vocazione alla chitarra solista.

Già, la chitarra: abbiamo fatto tutte queste cose con strumenti rigorosamente noleggiati. Si trattava di oggetti di scarso livello, le marche erano sempre sconosciute. Per un certo periodo Marino ha suonato con una chitarra verde, che aveva una serie di interruttori quadrati che mi ricordavano tanto il quadro comandi di una lavatrice. Lui, in qualche modo, riusciva a farla suonare.

Nel frattempo io scrivo. Poesie, canzoni, qualche racconto. Qualcosa passo a Marino, che si cimenta nei primi esperimenti musicali, dei quali ho qualche traccia in cassette ormai consumate. La festa della vita è una raccolta di canzoni, registrata con Marino in camera sua; è il nostro primo tentativo di fare un album “serio”, che oggi risulta un tantino inascoltabile (si salva forse solo il brano Ti sto aspettando vita, che ho riportato in questo libro).

Nel 1980 andiamo a Milano. Tramite gli organizzatori di un concorso di poesia, al quale avevo partecipato con Cristalli, ero entrato in contatto con uno studio di registrazione, lo Studio Hammill (mai saputo se il proprietario fosse veramente Peter Hammill, leader dei Van Der Graaf Generator, gruppo della fine degli anni ’60; comunque questo è ciò che mi avevano detto). È un’avventura singolare, che porta alla realizzazione di un nastro con quattro brani, cantati da Marino, suonati con due chitarre, e registrati in modo decente. Il valore dell’episodio sta forse nel fatto che rappresenta l’inizio della nostra lenta sprovincializzazione (vediamo per la prima volta uno studio di registrazione, in cui altri gruppi provano e incidono).

Nel 1986 la svolta. Marino sente per radio, Rete 105, la pubblicità di un concorso musicale organizzato da Chesterfield, che si tiene al Bandiera Gialla di Rimini. Si informa, e gli chiedono un demo con un brano originale, da spedire al più presto. Marino me ne parla: eccitati, decidiamo di partecipare. Piccolo particolare: non abbiamo un gruppo, non abbiamo la canzone. Abbiamo un tastierista (Marcello R.), più avvezzo agli organi di chiesa che ai sintetizzatori; non abbiamo un batterista, niente chitarre elettriche, niente bassista. Marino può fare il cantante, e possiamo rimediare qualcuno per i cori.

Superata la perplessità iniziale, partiamo dalla canzone. Mi metto a scrivere freneticamente, e produco solo stupidaggini (chissà se Marino si ricorda che il primo brano che avevamo messo a punto per il concorso si chiamava Atlantide, un pezzo insulso). Mi concentro, ed esce America, forse la prima vera canzone che io sia mai riuscito a scrivere. Marino butta giù la musica, ci sembra gradevole. Un basso elettrico ce l’abbiamo, un’imitazione del Fender Jazz Bass, usato ai tempi dei recital. Mettiamo lo strumento in mano al nostro più promettente studente di chitarra (...già, per racimolare due lire Marino e io organizzavamo corsi di chitarra... e taccio, di proposito, la stagione della commedia, in cui ci siamo anche improvvisati teatranti...), e così Artenio D.M., che a quel tempo ha 20 anni, si ritrova bassista. Alla sorella Manuela, 19 anni e una bella voce, anche lei nostra studente, viene assegnato il ruolo di corista. Il fratello di Marino, Mauro, viene reclutato come sassofonista. E la batteria? La mia ragazza di allora si ricorda che un suo lontano parente suona la batteria con un gruppo di Battaglia Terme. Andiamo una sera ad assistere alle loro prove, e alla fine gli chiediamo se vuole aggregarsi per il progetto.
Gianni M. accetta, suonerà con noi per otto anni.

A questo punto dobbiamo realizzare il demo. Un moto di orgoglio ci convince che non possiamo farlo in casa, dobbiamo ricorrere all’aiuto di qualche professionista della registrazione. La provincia, ancora una volta, ci limita: non abbiamo contatti, non conosciamo nessuno. Mi metto al telefono, e chiamo una serie di numeri trovati in elenco. Incappo solo in studi di registrazione di tipo pubblicitario, niente che fa al caso nostro. All’improvviso la luce. Vorrei fare un altare alla ragazza che, per telefono, mi ha detto quel giorno: “Noi non ci occupiamo di registrazioni di questo tipo, però le passo qualcuno che forse esservi di aiuto”. Gli parlo, e mi promette di aiutarci! Ci diamo appuntamento una domenica

Maurizio Tortima arriva a bordo di una Alfa Romeo 2000, scura. Dimostra una quarantina d’anni, è un bell’uomo, all’inizio ci mette un po’ di soggezione... ma ci svela un mondo nuovo. Possiede uno studio di registrazione ben equipaggia lo Studio Gradus, in cui cominciamo a lavorare da subito. Dire che ci fa da tecnico del suono è riduttivo. Ci prende letteralmente per mano, e ci aiuta nell’arrangiamento, nei cori, nell’impostazione, in tutto. Col passare delle ore si scioglie un po’, accenna al suo passato di musicista (forse è stato a questo punto che ho cominciato a notare una tristezza nei suoi occhi, un misto di nostalgia e delusione). Si rivela anche uno strepitoso chitarrista. Con una piccola tastiera, improvvisa infine il riff finale di America. Ogni volta che lo ascolto mi sembra di rivederlo. In una ventina di ore di lavoro la canzone è pronta. Noi usciamo da quest’esperienza profondamente cambiati, migliorati (l’avessimo fatta prima!). Orgogliosi del nostro pezzo, ci rendiamo conto che il gruppo non ha ancora un nome. Trovarlo si rivela un’impresa difficile, vorremmo un nome italiano, originale, gradevole. Non arriva nessuna ispirazione, quasi per scherzo facciamo un collage con i nostri nomi di battesimo, e salta fuori Dimarte. Non è la fine del mondo, ma è pur sempre un nome. La cassetta viene spedita, veniamo convocati e l’8 luglio 1986, all’alba, partiamo per Rimini.

Suoniamo al Bandiera Gialla dopo una giornata di estenuante attesa, davanti a poca gente (lo spettacolo è all’aperto, e la giornata è piovosa), con chitarre e tastiere prese in prestito da un gruppo rivale (incredibile la sfacciataggine di chiedere gli strumenti ad un’altra band...). Mi ricordo ancora l’espressione perplessa nel nostro tastierista, Marcello, davanti a un sintetizzatore, il leggendario Yamaha DX7, dal quale non riusciva a tirare fuori altro che una specie di barrito, fino a quando un rivale di un’altra band non è accorso in suo aiuto. Naturalmente la cosa non ha seguito, veniamo eliminati dalla gara. Tuttavia ci resta la band, e decidiamo di continuare.

Ancora eccitati per l’esperienza con Maurizio Tortima, gli chiediamo di tornare nel suo studio. In modo naturale, Cristina V. si aggrega come cantante (con Cristina avevamo già condiviso altre esperienze musicali, in parrocchia, e con i recital). Registriamo due canzoni, Penombra e Se mi sveglio; alle tastiere un ospite individuato con grande fatica, Maurizio M., allora musicista del gruppo M31 di Padova. Queste due ulteriori esperienze ci legano ancora di più a Maurizio Tortima; nel corso delle lunghe ore passate nel suo studio parliamo di musica, ci fa sentire le sue registrazioni passate, ci insegna. Siamo troppo diversi da lui, e più giovani, perché nasca un’amicizia nel vero senso del termine. Tuttavia Maurizio resta una persona fondamentale nella nostra storia.

I primi tempi siamo ossessionati dall’idea di trovare un tastierista che si unisca stabilmente al gruppo; purtroppo, a parte qualche fugace collaborazione (Paolo P., Marco P., Roberto G., Claudio B.), non troviamo musicisti disposti a suonare con noi. Dopo qualche tempo abbandoneremo l’idea del tastierista, e la nostra formazione stabile rimarrà di cinque elementi (anche il fratello di Marino, Mauro, che suonava il sax, lascerà presto il gruppo): Marino Crivellari e io alle chitarre, Artenio D.M. al basso, Cristina V. come voce solista, e Gianni M. alla batteria. Organizziamo, lavorando come pazzi, dei concerti in collaborazione con altri gruppi o cantanti (il nostro esordio si consuma il 27-28 dicembre 1986, nella sala teatro del Museo dell’Aria, Castello di S. Pelagio, in collaborazione con gli M31 di Padova). In seguito suoneremo anche con i Quasar di Conselve, e altri gruppi. Comincia la nostra attività musicale.

A questo punto faccio, senza rendermene conto, una cosa intelligente: decido di acquistare una chitarra elettrica seria e compro una Gibson S-335 Professional, che pagherò a rate (a quel tempo Marino suona con una chitarra elettrica Eko, non ricordo il modello, assomiglia alla Gibson SG). La mia Gibson nuova di zecca mi rivela in modo inequivocabile i miei limiti di chitarrista. Nello stesso periodo, Artenio parte per il servizio di leva, e rimaniamo senza il supporto del basso quando ci troviamo a fare le prove. Marino, con nonchalance, mi propone di diventare il bassista del gruppo, non so se spinto dal terrore di avermi come secondo chitarrista, o perché crede nelle mie possibilità di bassista. Non glielo chiederò mai, temo troppo la risposta. Incredibilmente, orgoglioso come sono, non la prendo male, anzi, e mi metto a cincischiare con il basso. La storia darà ragione a Marino: rimarrò per sempre il bassista dei Dimarte, ma c’è di più: sono felice di esserlo, e sono grato a Marino per avermi indicato una strada che mi ha dato molta gioia. A logica conclusione della vicenda, quando Artenio ritorna dal servizio di leva, gli vendo la mia Gibson, e tutti siamo contenti.

Per partecipare ad un concorso, il CantaMonselice (eh sì, ad un certo punto ci è ritornata la fregola dei concorsi), torniamo allo Studio Gradus, dal divino Maurizio Tortima. Registriamo La fine del mondo, che rappresenta anche il mio esordio come bassista. Forse la canzone non è eccezionale (siamo eliminati dal CantaMonselice già in prima serata), ma secondo me è un brano importante. Il pezzo nasce da un’idea musicale di Roberto G., un tastierista vicentino che aveva avuto una fugace collaborazione con noi. La canzone, compreso il testo, è stata letteralmente costruita in sala prove, con un paziente lavoro di gruppo. Ricordo bene la fase finale del missaggio della canzone, fatta insieme a Maurizio, un pomeriggio in cui mi ero assentato apposta dal lavoro.

Ciò che non sapevo, che non potevo sapere, era il dolore che c’era dentro di lui, e che non l’avrei mai più rivisto. Merda!

Quando Marino, qualche tempo dopo, mi ha detto che Maurizio non c’era più, ho sentito morire anche un pezzetto del mio cuore. È incredibile il legame che la musica può instaurare fra le persone e, ancora oggi, sono sorpreso di quanto Maurizio mi manchi.

Il 1988 è un anno cruciale, per me e per il gruppo. Io, quell’anno, lavoro a Roma, pertanto le possibilità di suonare con i Dimarte sono scarse. Lancio un’idea a Marino, che nel frattempo ha maturato la decisione di acquistare una Fender Stratocaster. “Perché non vieni a comprarla a Roma?” È deciso! All’inizio della primavera partiamo in quattro (Marino, io, e le rispettive ragazze), per una settimana mitica, che trascorreremo passando a tappeto tutti i negozi di strumenti musicali e i liutai di Roma. Un’indigestione di strumenti, prove, ricerche, per cercare lei, la prescelta: una Fender Stratocaster made in USA, colore sunburst, tastiera in acero chiaro.

Nel corso del nostro peregrinare lo vedo. Mi tenta. Ci devo pensare, è un bell’impegno economico. Fa bella mostra di sé da Cherubini, un grosso negozio su via Tiburtina. È un basso Fender Precision Special, uno strumento magnifico, che uso ancora oggi. Lo acquisterò quindici giorni dopo, e mi ricordo di aver chiesto a Marino di venire a prendermi alla stazione, al mio trionfale ritorno da Roma quel fine settimana, perché volevo fargli una sorpresa... Inauguriamo i nostri nuovi strumenti nel corso di un concerto disastroso, che teniamo nel nostro paese durante le festività di S. Marco, una domenica sera. Ricordo di aver suonato fino a mezzanotte, e di essere poi ripartito in macchina per Roma, dove dovevo essere di ritorno entro le otto del lunedì. Un viaggio terribile, segnato da una stanchezza che... solo la passione poteva vincere. Lo rifarei domani.
Fino al 1990 la nostra attività si svolge fra concerti autogestiti, concorsi e rassegne musicali. Puntiamo tutto sulle nostre canzoni e, e partecipiamo a molte rassegne (Segnali all’Orizzonte, 1989, e Anima e Sottosuolo, 1990, organizzate dal Comune di Padova). Riusciamo a vincere il CantaConselve nel 1988, con Nessie sotto le lenzuola, una canzone che ho scritto a Roma, sul lago di Bracciano, rispondendo ad una provocazione di Marino.


Nel 1991 facciamo la nostra prima serata al Pago Pago, una pizzeria-birreria di Maserà, in provincia di Padova. Rappresenta una data storica, perché le serate nelle birrerie, nei circoli musicali e pub di Padova e provincia sono rimaste il nostro principale modo di comunicare con il pubblico, fino a oggi. Inoltre questa scelta, da questo momento, influenzerà in modo determinante il nostro repertorio, che comincia a modificarsi per incontrare le esigenze del pubblico: eseguiamo un numero sempre maggiore di cover, lasciando spazio al rock-blues. Sempre più frequentemente Marino si affianca a Cristina, in qualità di seconda voce solista. Cito una serata importante, quella del 20 Ottobre 1994, quando suoniamo al Gal Bi Gar, noto locale di Abano Terme, in cui si esibiscono anche band piuttosto famose (per ottenere l'ingaggio erano state condotte estenuanti trattative).

Nell’estate del 1992 Marino, con un po’ di aiuto di suo padre e di Artenio, si fa carico dell’allestimento di quella che sarà la nostra sala prove definitiva, lo Studio Dimarte, dove ci troviamo ancora oggi (io sono latitante, non ricordo di aver contribuito in nessun modo). Si tratta di un vecchio stanzone, annesso al vano caldaia della chiesa di Carrara S. Giorgio. È un posto ideale, perché è isolato, e ci consente di suonare in tutta
tranquillità.

Purtroppo, nel corso del 1994, Gianni Marcante abbandona il gruppo e non viene rimpiazzato. Un po’ per vocazione, un po’ costretti, riscopriamo la musica acustica (per guidarci in queste scelte la personalità di Marino è determinante), diamo più spazio alla vocalità e approdiamo quindi ad un genere unplugged con il quale conviviamo ancora oggi, attingendo a piene mani dalla West Coast americana (The Eagles, CSN & Y, ecc...). Questa scelta ci ha dato molte soddisfazioni (...grazie Marino!). Il numero di concerti che abbiamo fatto nei locali della provincia di Padova è veramente grande; in alcuni periodi solo la stanchezza fisica ci ha impedito di suonare di più: è difficile tornare a casa alle tre del mattino, e poi andare al lavoro come se niente fosse... Inoltre, abbiamo suo nato nei locali più importanti del circuito padovano, talvolta anche con buona risposta da parte del pubblico. Il 20 aprile 1994 ci siamo esibiti al leggendario Banale di Padova, nel corso di una rassegna Unplugged organizzata in collaborazione con il quotidiano Il Gazzettino.

Una sintesi del nostro repertorio unplugged è contenuta nel CD, registrato e prodotto in proprio, completato nel Novembre 1998 e distribuito agli amici. Marino ha guidato l’intera operazione, curando arrangiamenti, effetti, missaggio. Il titolo, The West Tribute, è un’idea della quale vado assai fiero.

È difficile dire cosa siano i Dimarte oggi. Abbiamo recentemente tentato di ricominciare a comporre, ma non abbiamo abbastanza tempo per suonare. Volevamo cambiare nome (dovevamo trasformarci nei Res Nova, un nome che ho proposto io, e che ha trovato il consenso di tutti), ma gli ami ci che ci conoscono continuano a chiamarci Dimarte; e poi, forse, non ci crediamo molto nemmeno noi...
Probabilmente faremo un secondo CD, ho già pronti un paio di titoli. Sicuramente comporremo ancora. Siamo tutti indaffarati dal lavoro e dalla vita. Noi, però, non vogliamo mollare.

Avevo cominciato a scrivere queste note per fissare alcune date e momenti che non voglio dimenticare; ho finito per raccontare la nostra storia, vista attraverso i miei occhi e le mie sensazioni. Non so se corrisponda ai ricordi dei miei amici Dimarte, è probabile che qualcosa mi sia sfuggito. Sicuramente abbiamo fatto anche altre cose.

Mi ha fatto bene ripercorrere mentalmente queste esperienze, specialmente quelle dei primi anni che, mi rendo conto, spiegano bene quello che io sono oggi. Non so, ovviamente, cosa diventerò, cosa diventeremo. Ho molta nostalgia, ma anche qualche progetto, e tante speranze.
Diego Ponzin
Febbraio 2003