Superata la perplessità iniziale, partiamo dalla canzone. Mi metto a scrivere freneticamente, e produco solo stupidaggini (chissà se Marino si ricorda che il primo brano che avevamo messo a punto per il concorso si chiamava Atlantide, un pezzo insulso). Mi concentro, ed esce America, forse la prima vera canzone che io sia mai riuscito a scrivere. Marino butta giù la musica, ci sembra gradevole. Un basso elettrico ce l’abbiamo, un’imitazione del Fender Jazz Bass, usato ai tempi dei recital. Mettiamo lo strumento in mano al nostro più promettente studente di chitarra (...già, per racimolare due lire Marino e io organizzavamo corsi di chitarra... e taccio, di proposito, la stagione della commedia, in cui ci siamo anche improvvisati teatranti...), e così Artenio D.M., che a quel tempo ha 20 anni, si ritrova bassista. Alla sorella Manuela, 19 anni e una bella voce, anche lei nostra studente, viene assegnato il ruolo di corista. Il fratello di Marino, Mauro, viene reclutato come sassofonista. E la batteria? La mia ragazza di allora si ricorda che un suo lontano parente suona la batteria con un gruppo di Battaglia Terme. Andiamo una sera ad assistere alle loro prove, e alla fine gli chiediamo se vuole aggregarsi per il progetto.
Gianni M. accetta, suonerà con noi per otto anni.
A questo punto dobbiamo realizzare il demo. Un moto di orgoglio ci convince che non possiamo farlo in casa, dobbiamo ricorrere all’aiuto di qualche professionista della registrazione. La provincia, ancora una volta, ci limita: non abbiamo contatti, non conosciamo nessuno. Mi metto al telefono, e chiamo una serie di numeri trovati in elenco. Incappo solo in studi di registrazione di tipo pubblicitario, niente che fa al caso nostro. All’improvviso la luce. Vorrei fare un altare alla ragazza che, per telefono, mi ha detto quel giorno: “Noi non ci occupiamo di registrazioni di questo tipo, però le passo qualcuno che forse esservi di aiuto”. Gli parlo, e mi promette di aiutarci! Ci diamo appuntamento una domenica
Maurizio Tortima arriva a bordo di una Alfa Romeo 2000, scura. Dimostra una quarantina d’anni, è un bell’uomo, all’inizio ci mette un po’ di soggezione... ma ci svela un mondo nuovo. Possiede uno studio di registrazione ben equipaggia lo Studio Gradus, in cui cominciamo a lavorare da subito. Dire che ci fa da tecnico del suono è riduttivo. Ci prende letteralmente per mano, e ci aiuta nell’arrangiamento, nei cori, nell’impostazione, in tutto. Col passare delle ore si scioglie un po’, accenna al suo passato di musicista (forse è stato a questo punto che ho cominciato a notare una tristezza nei suoi occhi, un misto di nostalgia e delusione). Si rivela anche uno strepitoso chitarrista. Con una piccola tastiera, improvvisa infine il riff finale di America. Ogni volta che lo ascolto mi sembra di rivederlo. In una ventina di ore di lavoro la canzone è pronta. Noi usciamo da quest’esperienza profondamente cambiati, migliorati (l’avessimo fatta prima!). Orgogliosi del nostro pezzo, ci rendiamo conto che il gruppo non ha ancora un nome. Trovarlo si rivela un’impresa difficile, vorremmo un nome italiano, originale, gradevole. Non arriva nessuna ispirazione, quasi per scherzo facciamo un collage con i nostri nomi di battesimo, e salta fuori Dimarte. Non è la fine del mondo, ma è pur sempre un nome. La cassetta viene spedita, veniamo convocati e l’8 luglio 1986, all’alba, partiamo per Rimini.
Suoniamo al Bandiera Gialla dopo una giornata di estenuante attesa, davanti a poca gente (lo spettacolo è all’aperto, e la giornata è piovosa), con chitarre e tastiere prese in prestito da un gruppo rivale (incredibile la sfacciataggine di chiedere gli strumenti ad un’altra band...). Mi ricordo ancora l’espressione perplessa nel nostro tastierista, Marcello, davanti a un sintetizzatore, il leggendario Yamaha DX7, dal quale non riusciva a tirare fuori altro che una specie di barrito, fino a quando un rivale di un’altra band non è accorso in suo aiuto. Naturalmente la cosa non ha seguito, veniamo eliminati dalla gara. Tuttavia ci resta la band, e decidiamo di continuare.
Ancora eccitati per l’esperienza con Maurizio Tortima, gli chiediamo di tornare nel suo studio. In modo naturale, Cristina V. si aggrega come cantante (con Cristina avevamo già condiviso altre esperienze musicali, in parrocchia, e con i recital). Registriamo due canzoni, Penombra e Se mi sveglio; alle tastiere un ospite individuato con grande fatica, Maurizio M., allora musicista del gruppo M31 di Padova. Queste due ulteriori esperienze ci legano ancora di più a Maurizio Tortima; nel corso delle lunghe ore passate nel suo studio parliamo di musica, ci fa sentire le sue registrazioni passate, ci insegna. Siamo troppo diversi da lui, e più giovani, perché nasca un’amicizia nel vero senso del termine. Tuttavia Maurizio resta una persona fondamentale nella nostra storia.
I primi tempi siamo ossessionati dall’idea di trovare un tastierista che si unisca stabilmente al gruppo; purtroppo, a parte qualche fugace collaborazione (Paolo P., Marco P., Roberto G., Claudio B.), non troviamo musicisti disposti a suonare con noi. Dopo qualche tempo abbandoneremo l’idea del tastierista, e la nostra formazione stabile rimarrà di cinque elementi (anche il fratello di Marino, Mauro, che suonava il sax, lascerà presto il gruppo): Marino Crivellari e io alle chitarre, Artenio D.M. al basso, Cristina V. come voce solista, e Gianni M. alla batteria. Organizziamo, lavorando come pazzi, dei concerti in collaborazione con altri gruppi o cantanti (il nostro esordio si consuma il 27-28 dicembre 1986, nella sala teatro del Museo dell’Aria, Castello di S. Pelagio, in collaborazione con gli M31 di Padova). In seguito suoneremo anche con i Quasar di Conselve, e altri gruppi. Comincia la nostra attività musicale.
A questo punto faccio, senza rendermene conto, una cosa intelligente: decido di acquistare una chitarra elettrica seria e compro una Gibson S-335 Professional, che pagherò a rate (a quel tempo Marino suona con una chitarra elettrica Eko, non ricordo il modello, assomiglia alla Gibson SG). La mia Gibson nuova di zecca mi rivela in modo inequivocabile i miei limiti di chitarrista. Nello stesso periodo, Artenio parte per il servizio di leva, e rimaniamo senza il supporto del basso quando ci troviamo a fare le prove. Marino, con nonchalance, mi propone di diventare il bassista del gruppo, non so se spinto dal terrore di avermi come secondo chitarrista, o perché crede nelle mie possibilità di bassista. Non glielo chiederò mai, temo troppo la risposta. Incredibilmente, orgoglioso come sono, non la prendo male, anzi, e mi metto a cincischiare con il basso. La storia darà ragione a Marino: rimarrò per sempre il bassista dei Dimarte, ma c’è di più: sono felice di esserlo, e sono grato a Marino per avermi indicato una strada che mi ha dato molta gioia. A logica conclusione della vicenda, quando Artenio ritorna dal servizio di leva, gli vendo la mia Gibson, e tutti siamo contenti.
Per partecipare ad un concorso, il CantaMonselice (eh sì, ad un certo punto ci è ritornata la fregola dei concorsi), torniamo allo Studio Gradus, dal divino Maurizio Tortima. Registriamo La fine del mondo, che rappresenta anche il mio esordio come bassista. Forse la canzone non è eccezionale (siamo eliminati dal CantaMonselice già in prima serata), ma secondo me è un brano importante. Il pezzo nasce da un’idea musicale di Roberto G., un tastierista vicentino che aveva avuto una fugace collaborazione con noi. La canzone, compreso il testo, è stata letteralmente costruita in sala prove, con un paziente lavoro di gruppo. Ricordo bene la fase finale del missaggio della canzone, fatta insieme a Maurizio, un pomeriggio in cui mi ero assentato apposta dal lavoro.
Ciò che non sapevo, che non potevo sapere, era il dolore che c’era dentro di lui, e che non l’avrei mai più rivisto. Merda!
Quando Marino, qualche tempo dopo, mi ha detto che Maurizio non c’era più, ho sentito morire anche un pezzetto del mio cuore. È incredibile il legame che la musica può instaurare fra le persone e, ancora oggi, sono sorpreso di quanto Maurizio mi manchi.